Emanuela Cocco ci trascina nella sua storia dal punto di vista, originalissimo, di una gonna acquistata ai grandi magazzini per una cena galante.
Conosciamo così la voce narrante della storia ben prima che la storia nasca, così da avere il tempo di conoscere per bene questo particolarissimo narratore, che in fin dei conti è l'elemento più interessante della storia.
Capiamo che nella poetica della Cocco gli oggetti acquistano consapevolezza di sé solo dopo essere entrati in contatto con qualcuno, in questo caso è il primo contatto fisico con una cliente che, almeno all'inizio, decide di non acquistare l'indumento ma che poi tornerà e lo farà, come se ormai i loro destini fossero intrecciati per sempre.
Passiamo poi, bruscamente, al momento successivo all'omicidio della ragazza: la gonna diventa, per l'assassino, il trofeo con cui rivivere il suo scellerato gesto e provarne piacere.
Questi momenti, per la gonna, sono delle vere e proprie fughe da un nulla che la sta facendo impazzire, tanto che giunge alla conclusione di amare quell'uomo capace di donarle ancora attenzioni.
Ma poi, come tutti i bambini, anche il killer si annoia del suo vecchio giocattolo e ne cerca uno nuovo; andando a mettere i resti della gonna in un cassetto insieme ad altri trofei: un fermacapelli (detto Riccioli d'oro) e un Gingillo.
Così, il ciclo si ripeterà per sempre, a meno che qualcuno non fermi il mostro...
La storia raccontata dalla Cocco è molto forte, infatti non si respira mai un alito di speranza (anche perché i personaggi sono oggetti contenenti le anime di persone già morte) nei pensieri del narratore.
Per quanto riguarda la trama, questa è abbastanza lineare ma ci sta con il tipo di narratore e lo stile di scrittura adottata per raccontare la storia: una storia più complessa avrebbe creato di certo un sovraccarico.
Lo stile, invece, non mi ha convinto troppo: la scrittura è parecchio sperimentale, arrivando a mischiare la prosa con la poesia nei momenti di maggiore concitazione. Questa cosa, se da una parte risulta molto interessante, dall'altro restituisce delle scene poco chiare e nitide all'immaginazione del lettore, che in più punto non capisce se ciò che gli viene racconto è una fantasia o un evento veramente avvenuto.
Personalmente vedo questo elemento, anche se stilistico e intenzionale, il vero limite del racconto, che se fosse stato più "concreto" io avrei apprezzato un po' di più.
In ogni caso una buona lettura, dura ma molto empatica, del tema del serial killer.
Consigliato a chi apprezza il genere e non disdegna divagazioni metafisiche nelle storie che legge.
- VOTO: 7